Guido Gozzano (Torino, 1883 – 1916) si auto-rappresenta artisticamente “un coso con due gambe detto guidogozzano”, e già questo fa di lui un nostro contemporaneo al cento per cento, l’inventore dell’hashtag (tutto attaccato, minuscolo, la reificazione o abbassamento dell’autore a puro slogan), quando il Dannunzianesimo pomposo è moda letteraria e atteggiamento culturale condiviso.
Lo spettacolo è corredato da interventi musicali d’epoca estratti accuratamente dalle citazioni presenti all’interno dei versi dell’autore; talvolta i brani originali (nella loro versione più vetusta possibile) si presentano sonoramente deformati da miei inserti di elettronica per sottolineare gli scarti tra la cornice (concetto centrale in Gozzano, “…quel che fingo d’essere e non sono”) e il distacco del personaggio da sé stesso: quel gelo e quella alienazione che fanno da contrappunto all’ironia e ai toni talvolta (artificiosamente) giocosi dei testi.
Fingo d’essere.
Finzione – inteso come termine riverberante tutta la complessità dell’arte in rapporto all’esistenza – è la parola chiave. Termine leopardiano arcinoto che rischia di essere frainteso in un senso limitato dall’accezione contemporanea: non è mai riducibile al semplice far finta di (valore corrente odierno).
Fingere (anche riflessivo, riferito a sé stessi: fingersi) è l’effetto dell’arte, se non l’arte stessa. Il fingersi leopardiano (quello de L’infinito ne è l’esempio classico: “…io nel pensier mi fingo”) ha valore di costruzione mentale, di immaginazione, di elaborazione complessa di sensazioni e idee, della riduzione (o elevazione) del pensiero ad arte, dell’astrazione dell’arte rispetto alla carne, della rappresentazione di sé come artificio (“io nel pensier mi fingo”). Infatti Leopardi nel L’infinito ritrae liricamente sé stesso nell’atto di essere e di immaginare.
Finzione / artificio / fiction.
Essendo di etimologia latina, paradossalmente il termine ritiene nell’inglese, più che nell’italiano contemporaneo, tale valenza inequivocabile di artificio: fiction è qualsiasi opera di creazione autorale letteraria destinata a qualsiasi forma di rappresentazione. Arti-ficio. Cioè che l’arte fa. Cioè che l’arte rende artificiale.
La poetica di Gozzano è votata all’artificio, tanto nella rappresentazione di sé (“…coso con due gambe detto guidogozzano”) quanto dei propri mondi, orizzonti, scenari: tutti quasi finzione (simili a stampe, quadri, arazzi, mosaici, ecc). Tutti i personaggi femminili ad esempio subiscono questa riduzione (o sublimazione) essendo a ben guardare perpetuamente rappresentati in cornice: quella di un ritratto, di una fotografia, tra i riqaudri di una cancellata, estrapolate da romanzo o da scenari arcadici o uminili (la cucina e i suoi odori, l’acciottolio sonoro che diventa verso) ecc.
In cornice.
Il che – per tornare alle mie scelte di regia nella lettura – concede piena licenza nella trasposizione sonora di accorate arie d’opera di Verdi in glaciale elettronica contemporanea, nella finzione di una cornice musicale alla lettura dei testi (finzione che ad esempio non ritengo concessa nella esecuzione per sola voce di un’opera come Il Conte di Kevenhuller di Giorgio Caproni). Il testo stesso invita alla finzione. Invita alla rappresentazione, teatralizzando i colloqui in versi con la precisione metrica di un raffinatissimo artigiano. Invita al gioco – palesemente finto – della regionalizzazione del parlato nei personaggi umili ad esempio: a tale scopo introduco nella lettura delle parti di determinati personaggi (il farmacista, il padre di Felicita, più leggermente in Felicita stessa…) cadenze regionali piemontesi più o meno lievi. Con effetto comico di realismo. Oppure con effetto ironico di ulteriore e più marcata finzione. I due esiti – apparentemente antitetici – convivono.
Guido Gozzano (o come si auto ritrae graficamente l’autore: guidogozzano – primo #hashtag antelitteram della storia di Twitter, suppongo) si presta a questo gioco. Una sorta di cornice alla cornice, in un infinito abissale di finzioni nella finzione.
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La scaletta del reading (durata 45 minuti circa):
- LA VIA DEL RIFUGIO
- L’AMICA DI NONNA SPERANZA
- “Preludio” III atto, Ernani, Giuseppe Verdi
- “Caro il mio ben”, Giordanello
- “Bella figlia dell’amore”, Rigoletto, Verdi
- Ripresa “Preludio” III atto, Ernani, Giuseppe Verdi
- Lettera ad Amalia Guglielminetti
- COCOTTE
- “Giovinezza”. Canzone scritta nel 1909 con il titolo “Commiato”, canto goliardico di addio agli studi degli universitari di Torino, dove Gozzano studiava giurisprudenza. Autore del testo fu Nino Oxilia (morì il 18 novembre 1917, colpito da una scheggia di granata sul Monte Tomba); musica di Giuseppe Blanc. Le parole gioiose dell’Oxilia celebravano la fine della spensierata età degli studi, le gioie, gli amori, il vigore e la spavalderia dell’aver vent’anni. La canzone divenne poi un canto del fronte nella prima guerra mondiale con alcune varianti al testo. Negli anni Venti fu poi adottata come inno fascista e fu variato ulteriormente il testo per propaganda del culto mussoliniano. Ma in origine, ai tempi di Gozzano, nel 1909, era un canto goliardico studentesco: ne ascoltiamo un estratto dalla versione originale.
- I COLLOQUI
- LA SIGNORINA FELICITA
- Minuetto, Domenico Paradisi
- Acciottolio, Giovanni Succi
- Toccata, Domenico Paradisi
- “La donna è mobile”, Rigoletto, G. Verdi feat. G. Succi
- Toccata + elettronica, D. Paradisi feat. G. Succi
- Minuetto + elettronica, D. Paradisi feat. Giovanni Succi
- IL COMMESSO FARMACISTA
- TORINO
2 pensieri su “#GUIDOGOZZANO.”